Sant'Agata sotto le bombe
Sant'Agata sotto le bombe
Oggi nella ricorrenza delle Festività Agatine di questo 2025 voglio ricordare alcuni degli eventi tragici che colpirono la nostra Santa Patrona e il cuore della nostra città durante il Secondo Conflitto Mondiale. Venerdì 16 aprile 1943 gli americani con i loro bombardieri quadrimotori B-24 Liberator, fecero diverse INCURSIONI alla città di Catania, in quei giorni fatali, i catanesi cominciarono a subire i famigerati bombardamenti a tappeto sul centro abitato della città, quel giorno durante l’incursione delle 18:50 le bombe colpirono la zona del Duomo, la Cattedrale e il Seminario furono danneggiati, la Cattedrale riportò danni al tegolato e alla capriata della chiesa e il quadrante dell’orologio del campanile del Duomo fu colpito in pieno da grosse schegge e fu messo fuori uso. Ma le bombe colpirono non solo l’edificio, ma il cuore stesso della religiosità catanese, furono quelle che demolirono il palazzo barocco contiguo alla Cattedrale sede del deposito dove è custodita la Vara di Sant’Agata Patrona della città e le Candelore. La possente porta di ferro che chiudeva il deposito fu sfondata dall’esplosione, il fercolo fu schiacciato dalle macerie del solaio crollato molti pezzi d’argento del manufatto si staccarono e furono sparpagliati in strada, ma mentre ancora perdurava l’incursione aerea un sacerdote cominciò a raccoglierli e al grido «è roba da Santuzza» si fece aiutare dalle persone che erano accorse in zona. Nell’esplosione fu distrutta anche la Candelora piccola della Santa, fu danneggiata gravemente quella dei Panettieri e fu colpita quella dei Macellai, quel giorno si contarono a Catania 146 morti e 291 feriti e molte case e palazzi vennero colpiti o distrutti.
Dopo questo bombardamento il 21 aprile 1943 l’Arcivescovo di Catania Monsignor Carmelo Patanè, scampato alla distruzione del Seminario il 16 aprile aveva lasciato la sua abitazione alla Marina per rifugiarsi insieme ai suoi più stretti collaboratori a San Giovanni La Punta nella sede del Seminario estivo, dove già dall’inizio del conflitto si erano traferiti i seminaristi con i Superiori e i Professori. Gli altri membri del clero catanese lasciarono gradualmente la città spostandosi prima nelle parrocchie in periferia e poi in quelle dei paesi limitrofi, ma l’Arcivescovo non volle abbandonare spiritualmente i catanesi e organizzò dal suo rifugio puntese con l’aiuto di molti giovani sacerdoti, i servizi religiosi per chi era rimasto in città, il soccorso dei religiosi sinistrati e il recupero degli arredi sacri e degli oggetti preziosi delle chiese colpite. In questa organizzazione fu deciso anche il destino delle reliquie e del tesoro della Patrona di Catania Sant’Agata.
La Santa Patrona le sue reliquie e il suo tesoro erano le cose più care a cui la comunità catanese teneva, proteggerle dalle bombe o dalle razzie era un obbligo morale di tutti soprattutto della curia, fu deciso allora di far “sfollare” anche la Santa con tutti i suoi preziosi e si scelse come rifugio la casa canonica di Fleri, paesino subito dopo Zafferana Etnea. Intorno alle 10:00 del mattino del 14 maggio 1943 Monsignor Cacciotto Vicario Generale, tolse i reliquari contenenti le spoglie della Santa dal loro scrigno e li imballò in casse di legno insieme a quattro antichi calici d’oro e la rete con i doni alla Santa, caricò le casse su due auto appartenenti al Barone Gaetano Nava nipote dell’Arcivescovo e in totale segretezza li portò a casa del parroco di Fleri Don Ignazio Messina, dove restarono fino al 26 settembre 1943.
Ma non tutto fu portato a Fleri, il tesoro fu occultato nella stessa cameretta di Sant’Agata, nella parete di fondo della nicchia bassa dove solitamente si ripone lo scrigno con le reliquie venne praticato un foro tolta una lastra di pietra lavica e lì venne sistemato il tesoro, dopo aver riposizionato la lastra lavica il foro fu chiuso e la parete restaurata, fu riposizionato lo scrigno vuoto nella nicchia e coperto con dei sacchi di sabbia, occultando così i preziosi alla vista, anche il busto reliquiario rimase nella cameretta adagiato anch’esso nella sua nicchia e coperto da sacchi di sabbia per proteggerlo dalle esplosioni. Nella celletta furono posti anche i preziosi resti in argento del fercolo distrutto dalle bombe nel pomeriggio del 16 aprile 1943. L’operazione era riuscita in totale segretezza tanto che in seguito il Prefetto di Catania Zanelli, comunicò all’Arcivescovo che il governo voleva spostare Sant’Agata e il suo prezioso tesoro ad Enna nella sede della 6° Armata per proteggerlo, ma Monsignor Patanè fece rispondere al Prefetto che non era necessario perché reliquie e preziosi si trovavano già da tempo al sicuro in Vaticano, ma come ben sappiamo la Santuzza non abbandonò mai la sua Catania e i suoi cittadini.
Il 5 agosto 1943 dopo innumerevoli incursioni bombe e distruzioni ed un estenuante battaglia gli inglesi giunsero a Catania, suscitando nella popolazione un senso di euforia e rilassatezza causato non da una “Liberazione” ma dal fatto che per i catanesi la guerra di Mussolini poteva considerarsi conclusa. Presto tra gli inglesi e i catanesi s’instauro anche un buon rapporto di fiducia espresso al suo massimo dall’affabile collaborazione che gli Alleati ricevettero dal Podestà della città Antonino Paternò Castello Marchese di San giuliano. A non fidarsi troppo degli inglesi invece erano gli esponenti della curia catanese, i religiosi etnei sospettavano che uno degli interessi principali dei britannici fosse di trafugare l’inestimabile tesoro di Sant’Agata, quando gli inglesi nei giorni successivi alla conquista di Catania insistettero per vedere la corona di Agata e il suo tesoro, il sospetto aumentò. L’Arcivescovo nell’incontro con gli ufficiali inglesi riferì che il tesoro era al sicuro in Vaticano (piccola bugia che aveva già detto al Prefetto Zanelli qualche mese prima) e che quindi era impossibile ammirarlo a Catania. A questo punto si credette necessaria l’organizzazione di un piano per mettere al sicuro ciò che restava del tesoro. Il 17 agosto 1943 in gran segreto i gioielli rimasti attaccati al busto reliquiario furono asportati e insieme ai resti argentei del fercolo furono conservati in due cassette militari tedesche che vennero opportunamente sigillate, la parte del tesoro precedentemente murata all’interno della celletta rimase dov’era. Le due cassettine furono caricate su un furgoncino e trasportate a San Giovanni La Punta dove aveva sfollato la maggior parte della curia catanese, e dove presto sarebbero arrivate anche le reliquie che erano a Fleri. Prima che le reliquie e il tesoro di Sant’Agata ritornino definitivamente in Cattedrale a Catania passerà ancora un altro anno.